Tanto rumore per… ben poco. È questa la sintesi che si può fare del discusso e discutibile programma di contenimento dei cinghiali avviato a Roma nella zona nord della città, nella riserva dell’Insugherata.
In due giorni si è stati capaci di catturare solo un cinghialotto di una trentina di kg.
E di spingere altri esemplari vicino alle abitazioni e dentro i giardini, proprio l’esatto contrario dei risultati che la giunta capitolina voleva raggiungere.
Come illustrato da un articolo del quotidiano romano “Il Messaggero” “quando i cinghiali vengono a contatto con la popolazione, le autorità hanno a disposizione diversi strumenti per agire. Ma tutti devono avere un unico obiettivo: contenimento del surplus degli esemplari che vuol dire anche abbattimento e macellazione destinata all’uso alimentare o incenerimento. Ci sono due protocolli che guidano questi percorsi: uno sottoscritto da Regione, Coldiretti, Legambiente e Federparchi in cui la telenarcosi non è prevista ma si usano gabbie, si attirano gli animali e si catturano. Con questo metodo si prendono circa 300 ungulati all’anno.
E poi ce n’è un altro di protocollo, recente, redatto dal Campidoglio con Città metropolitana e Regione e che è stato applicato in questa circostanza, lo scorso 16 aprile. In sostanza la polizia provinciale agisce come se si fosse in presenza di una tigre scappata da un circo che gira per la città. Perché in questo protocollo tra i vari strumenti a disposizione si prevede la teleanestesia: la possibilità di sparare a distanza un farmaco per addormentare l’animale e poterlo catturare”.
I risultati si sono visti, non solo nulli, ma addirittura controproducenti. Ma l’importante pare essere come sempre comportarsi in modo “ecologico”: i problemi non si risolvono ma ci si può fregiare di essere “amici degli animali”.