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UN CACCIATORE ALLA DIREZIONE DEL PARCO NAZIONALE DEI MONTI SIBILLINI

UN CACCIATORE ALLA DIREZIONE DEL PARCO NAZIONALE DEI MONTI SIBILLINI

Le notizie trapelate in questi giorni da Visso, che hanno trovato continue conferme lungo i corridoi del Ministero dell’Ambiente, a Roma, sono adesso ufficiali. Alla guida del Parco nazionale dei Monti Sibillini si insedierà un cacciatore. Parliamo di Franco Perco, 70enne naturalista friulano, zoologo, libero professionista esperto in Mammalofauna. Socio fondatore, presidente e ora presidente onorario dell’Associazione Italiana per la Gestione Faunistica, Perco ha ricevuto la nomina del Ministero dell’Ambiente e, pertanto, può già essere definito direttore nonostante i tempi di avvicendamento con il suo predecessore Alfredo Fermanelli siano ancora da definire. “Una notizia a dir poco storica per l’intero mondo venatorio nazionale – si legge su www.spoletonline.com – così come per il mondo delle Aree Protette italiane, da sempre chiuso su se stesso e fermo sul concetto di Parco inteso come “cittadella assediata dai cattivi””.
Laureato in Giurisprudenza e in Scienze Naturali, zoologo progettista, coestensore di 14 Carte Faunistiche Regionali o Provinciali, consulente o progettista di più di una ventina di Parchi, di una trentina di Enti Pubblici (soprattutto Regioni o Province) e coprogettista di numerosi progetti di valutazione d’impatto ambientale (settore faunistico), Franco Perco è specializzato soprattutto nel campo della Mammalofauna e degli Ungulati.
Già dirigente della Federazione Italiana della Caccia, di cui è stato consulente federale in consiglio nazionale dal 1976 al 1984, membro del Consiglio internazionale della caccia e, tra le altre cose, consulente scientifico dell’Uncza, Franco Perco è inoltre autore di una ventina di monografie sugli ungulati e la gestione dei loro territori d’elezione, prime fra tutte le aree protette.
Sono dieci i punti fondamentali del nuovo concetto di direzione del Parco che, si legge su www.spoletonline.com, “staccano nettamente con la tradizione “ingessata” che ha caratterizzato la maggior parte delle aree protette italiane”. Rendere difficile (avventurosa, imprevedibile, faticosa, ecc.) la percezione delle specie facili; graduare la percettibilità faunistica; valorizzare la fauna “trascurata o banale” rendendola percepibile o comunque apprezzabile, quando non emozionante o “magica”; obbligare a “fare” qualcosa di impegnativo per godere la fauna; elevare il gusto faunistico, gli standard di sensibilità (alta sensibilità eguale ad alta educazione); far conoscere le “vere” esigenze della fauna e quindi le sue caratteristiche (non basta volerle bene!); far comprendere che “offrire” fauna è un lavoro, duro e serio; far comprendere che la gestione faunistica non è un campo di esercitazione di buoni sentimenti o per dilettanti (bisogna sporcarsi le mani); abbandonare la mentalità di cittadella assediata dove i buoni (amici del Parco) sono nettamente distinti dai cattivi (i nemici e persino i tiepidi); verificare se il messaggio è stato (almeno) inteso correttamente.
Idee, queste, che potrebbero rivelarsi determinanti e innovative per una migliore convivenza tra l’istituzione e le popolazioni residenti e costituire una ricetta per il rilancio del Parco stesso.
A.B.

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